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Blu Whale Challenge: quando la morte diventa un “gioco” reale

14 Maggio 2017. Il programma “Le Iene” trasmette uno scioccante servizio sul “Blu Whale challenge”, raccapricciante gioco online nato e inizialmente diffuso sui social network russi (www.iene.mediaset.it). Da tale data i media italiani sono stati invasi da notizie, commenti e approfondimenti su questo gioco/rituale che sembra aver portato alla morte più di 150 adolescenti e preadolescenti dai 9 ai 16 anni.

Il challenge e i “gruppi morte” online associati sembrano esistere già dal 2013, come le sue scioccanti conseguenze, ovvero la morte di ragazzi e ragazze intrappolati in una rete di messaggi mortiferi, ordini sadici e, probabilmente, anche gravi minacce.

Il boom della notizia, se da una parte ha acceso curiosità e allarmismi, dall’altra ha portato diverse testate a mettere in dubbio la veridicità del fenomeno, sottolineando al pubblico che solo pochi tra i casi degli adolescenti suicidi hanno una reale connessione con il gioco (www.corriere.it). Ma se il Blu Whale challenge abbia colpito 15 o 150 adolescenti poco importa: poco importa se alcuni dettagli in rete restano fumosi o ambigui, poco importa se il fenomeno sia nato e cresciuto da un “creepypasta” o sia l’operato di una reale organizzazione criminale. Ciò che dovrebbe emergere come dato concreto è il problematico e scarso confine tra reale e virtuale, tra il gioco e la morte.

Il Blu Whale challenge ha messo in evidenza, seppur in modo esasperato e del tutto scioccante, temi che da tempo interessano l’età adolescenziale e preadolescenziale: la sfida, come trasgressione, come distacco e messa alla prova del legame/dipendenza dai propri genitori, come tentativo di fortificare i propri confini identitari; l’appartenenza ad un gruppo che nutre, attraverso il confronto, lo scambio, l’appartenenza ad una “nuova famiglia” di pari in cui poter sperimentare i propri limiti e potenzialità; infine gli interrogativi sul binomio vita/morte, una dicotomia attraente per l’adolescente che, talvolta, tende pericolosamente a testare.

Il Blu Whale challenge raccoglie tutto ciò colorandolo di nero, di morte. Gli adolescenti reclutati da chat e gruppi hanno identificato negli amministratori o “curatori” delle figure adulte di riferimento, sostitutive a quelle genitoriali, figure che secondo alcune testimonianze riuscivano a creare un rapporto empatico e profondo con le vittime. La “comprensione”, la “vicinanza”, seppur fittizia, faceva strada alla manipolazione e ad un legame sadico.

Intorno alla sfida, alla morte, c’è sempre lo sguardo di un gruppo, di un gruppo di pari immerso in un gioco in cui i confini tra reale e virtuale restano indefiniti, un gruppo in cui il valore della vita perde sostanza di fronte a quello di una “morte eroica”. Probabilmente è proprio questo a destare più interrogativi e sgomento: può la morte aver rappresentato il premio, la vincita, per le vittime e per coloro che hanno guardato, assistito e filmato? È possibile che “le balene” che hanno deciso di saltare non sentivano che quel gesto avrebbe segnato solo una tragica fine e non l’inizio di una nuova sfida, di un nuovo gioco?

Per rispondere a tale domanda bisogna considerare, in primis,  l’età delle vittime, il loro momento di crescita e, successivamente, il contesto culturale in cui sono inseriti. Dai 9 ai 12 anni la morte incomincia ad essere concepita come un fatto definitivo, inevitabile, universale e personale. Dai 12 anni in poi, il concetto di morte, è assolutamente simile a quello dell’adulto, di contro differiscono le reazioni emozionali e l’utilizzo di questo: l’adolescente esplora i confini della morte in modo onnipotente, spesso con comportamenti a rischio, proprio per testare il proprio senso della vita, l’esistere nel mondo (www.adolescienza.it). Riguardo al contesto e alle ripercussioni che questo può avere sulla struttura psichica degli adolescenti, è bene ricordare che si parla di digital generation, di adolescenti che si differenziano nettamente dalle generazioni precedenti.

I nativi digitali tendono a vivere e significare tutto nel “qui ed ora”, nello spazio di un bit, sono degli “empiristi” e quindi agiscono senza progettare l’azione e senza nemmeno chiedersi quali siano il senso e le conseguenze. Finita un’azione, un’esperienza, tutto si può riavviare, come quando si spegne il pc o lo smartphone. Quando si aggiungono elementi di fragilità temperamentali o relazionali, le regole del vivere virtuale possono contaminare e invadere completamente anche la concezione del reale. Da qui un salto nel vuoto, la morte, perde il significato cognitivo ed emotivo di “definitivo”, di fine (www.ariannaeditrice.it).

È in tal senso che il fenomeno del Blu Whale non deve solo spaventare, ma indurre genitori, psicologi, psichiatri ed educatori ad una riflessione più consapevole sui rischi connessi all’utilizzo e all’abuso dei dispositivi digitali e, in aggiunta, alle specifiche fragilità che interessano i nativi digitali. La sola informazione da dare ai propri figli per mantenerli lontani da conseguenze spiacevoli o, addirittura, drammatiche, non sono sufficienti.

Occorre che i genitori trascorrano del tempo di qualità con i figli, che parlino con questi e imparino a vivere anche i silenzi della relazione; è importante osservarli e incontrarli nello sguardo, oltre che nelle parole. La qualità della relazione è l’antidoto più potente in grado di evitare l’espressione di un forte disagio e i conseguenti effetti di ciò; questi possono essere espressi mediante dipendenza dalle nuove tecnologie, dai social o dal gioco, ma anche da una grande vastità di ulteriori dipendenze comportamentali o da sostanze, legali e illegali, con cui vi è una forte correlazione. Le problematiche è bene che possano essere affrontate quanto prima, con un supporto professionale, a seconda delle difficoltà espresse, perché queste non si superano solamente con il trascorrere del tempo…

Come procedere

Se senti di avere necessità di una Consulenza in ambito Individuale, piuttosto che di Coppia o Familiare, puoi fissare un appuntamento contattando i numeri 06 92599639 o 388 8242645, o puoi scrivere all’indirizzo e-mail info@massimocanu.it

In caso di impossibilità a poter raggiungere lo Studio, in Roma, potrai fare altrettanta richiesta per una prestazione On-Line, avvalendoti della piattaforma web appositamente realizzata. E’ intuitiva, rapida e sicura.

A conclusione di tale fase consulenziale, sia in Presenza che On-Line, sarà definito quanto emerso nel corso del lavoro e, eventualmente, saranno focalizzati gli obiettivi per l’avvio di una Psicoterapia, la quale potrà essere Individuale, di Coppia o Familiare.

Chiedere aiuto è un segno di forza e, soddisfare i tuoi bisogni psicologici, equivale a compiere il più importante atto d’amore che possa fare verso la tua persona, ancor prima che per coloro che condividono la loro vita con te.